A Trinitapoli il cinquantesimo anniversario di sacerdozio di Mons. Pavone
A presiedere la celebrazione eucaristica l'Arcivescovo Leonardo d'Ascenzo
domenica 16 luglio 2023
10.14
"Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore" (Gv. 10, 11-15), questo il passo del Vangelo scelto da Mons. Giuseppe Pavone – chiamato dalla comunità don Peppino – nel giorno del suo cinquantesimo anniversario dell'ordinazione presbiterale. Un traguardo festeggiato con gioia e in grazia di Dio dal presbitero insieme alla comunità di Trinitapoli, venerdì 14 luglio presso il santuario mariano Beata Vergine Maria di Loreto durante una solenne celebrazione eucaristica. Una celebrazione che ha visto la partecipazione di centinaia di fedeli che hanno avuto modo di conoscere don Peppino nel corso di questi cinquant'anni.
Nell'occasione, abbiamo quindi intervistato Mons. Giuseppe Pavone, ponendogli alcune domande.
In questi cinquant'anni di sacerdozio ricorda un momento in particolare che ha segnato in modo ancora più profondo la sua scelta di Fede?
"Il momento iniziale, quello vocazionale. Io sono stato a Milano per diversi anni, a Lainate in particolare e lì ho vissuto la vita oratoriale in pieno, l'oratorio lombardo con tutte le sue caratteristiche, le sue dinamiche spirituali, ricreative, ecc. Avevo con me un sacerdote responsabile dell'oratorio il quale mi ha affascinato" – inizia così Mons. Giuseppe Pavone. "A Lainate non c'è mare, c'è un canale, il Canale Villoresi e noi passeggiavamo proprio su questo canale – una passeggiata che segnerà il suo cammino - lui era così dinamico e dentro di me dissi 'io voglio essere come lui'. Poi siamo ritornati qui, a Trinitapoli e abbiamo cominciato dei percorsi: la vita del seminario minore - quindi sin da piccolo, dalla prima media - poi seminario regionale e poi il sacerdozio".
Considerando la sua profonda esperienza, in che modo i presbiteri possono contribuire per garantire un clima di santità all'interno della comunità?
"La testimonianza del presbitero è importantissima. Prima di tutto il presbitero deve credere in Cristo, nella parola del Signore che è una parola di salvezza – aggiunge poi don Peppino - secondo il mio modesto avviso, deve spendersi. Non c'è un tempo riservato per sé: il presbitero si dona in maniera totale per la vita del suo popolo, il popolo che gli viene assegnato per grazia di Dio. Quindi c'è questa particolarità del sacerdote. Il sacerdote è un'ostia – aggiunge poi il presbitero - è uno che si dona completamente, che dà la vita per le anime che gli sono affidate, come Cristo dà la sua vita per gli uomini. Quindi deve vivere profondamente, altrimenti fa il burocrate, oppure come dico io tante volte, l'animatore dei villaggi turistici. Quindi fa mille cose facendo venire meno la profondità. Conclude poi don Giuseppe Pavone, facendo riferimento agli auguri ricevuti in vista dell'anniversario del suo sacerdozio: "sto avendo delle testimonianze - in vista degli auguri - tramite dei bigliettini, e certi auguri mi hanno segnato in maniera molto positiva".
Quale consiglio darebbe ai nuovi sacerdoti che intraprendono il loro percorso di fede e di santità?
"Questi sacerdoti già son ricchi, perché vengono fuori da un'esperienza di seminario, quindi hanno dei percorsi di vita spirituale intensa, volti anche a suggerimenti, consigli dei padri spirituali. Noi siamo invece sacerdoti di frontiera: gente che sta lì con la baionetta, che è in trincea". Una situazione differente coinvolge invece i nuovi sacerdoti, afferma Mons. Giuseppe Pavone: "un giovane sacerdote si deve attrezzare ad una vita spirituale profonda e con studio serio, bisogna cioè che si prepari continuamente, perché il mondo è velocissimo, non consente di utilizzare sistemi retrò. Quindi ogni nostro linguaggio se è al passo con i tempi trova sconto, non lo trova invece se è petulante – continua così don Peppino - noi purtroppo stiamo registrando un po' questa storia, quindi per i giovani sacerdoti c'è un lavoro immenso. Noi siamo stati un po' più fortunati, perché l'ambiente socio-culturale di un tempo , di cinquant'anni fa, ci consentiva di essere più tranquilli".
Un mondo - quello giovanile – di cui don Peppino ha sempre fatto parte e che nel tempo ha prodotto i suoi frutti. "Io ho privilegiato sempre la fascia giovanile. Noi in parrocchia abbiamo avuto centinaia e centinaia di giovani che adesso sono tutti professionisti. Alcuni li ho visti arrivare stamattina e dopo aver chiesto loro perché fossero scesi da posti così lontani come Milano, la loro riposta è stata: 'E com'è potevo mancare'?"
E se dovesse identificarsi con un motto, quale motto sceglierebbe?
"Il motto che hanno scritto sulla torta e che io ripeto spesso: 'Io sarò con te, sempre' "
Nell'occasione, abbiamo quindi intervistato Mons. Giuseppe Pavone, ponendogli alcune domande.
In questi cinquant'anni di sacerdozio ricorda un momento in particolare che ha segnato in modo ancora più profondo la sua scelta di Fede?
"Il momento iniziale, quello vocazionale. Io sono stato a Milano per diversi anni, a Lainate in particolare e lì ho vissuto la vita oratoriale in pieno, l'oratorio lombardo con tutte le sue caratteristiche, le sue dinamiche spirituali, ricreative, ecc. Avevo con me un sacerdote responsabile dell'oratorio il quale mi ha affascinato" – inizia così Mons. Giuseppe Pavone. "A Lainate non c'è mare, c'è un canale, il Canale Villoresi e noi passeggiavamo proprio su questo canale – una passeggiata che segnerà il suo cammino - lui era così dinamico e dentro di me dissi 'io voglio essere come lui'. Poi siamo ritornati qui, a Trinitapoli e abbiamo cominciato dei percorsi: la vita del seminario minore - quindi sin da piccolo, dalla prima media - poi seminario regionale e poi il sacerdozio".
Considerando la sua profonda esperienza, in che modo i presbiteri possono contribuire per garantire un clima di santità all'interno della comunità?
"La testimonianza del presbitero è importantissima. Prima di tutto il presbitero deve credere in Cristo, nella parola del Signore che è una parola di salvezza – aggiunge poi don Peppino - secondo il mio modesto avviso, deve spendersi. Non c'è un tempo riservato per sé: il presbitero si dona in maniera totale per la vita del suo popolo, il popolo che gli viene assegnato per grazia di Dio. Quindi c'è questa particolarità del sacerdote. Il sacerdote è un'ostia – aggiunge poi il presbitero - è uno che si dona completamente, che dà la vita per le anime che gli sono affidate, come Cristo dà la sua vita per gli uomini. Quindi deve vivere profondamente, altrimenti fa il burocrate, oppure come dico io tante volte, l'animatore dei villaggi turistici. Quindi fa mille cose facendo venire meno la profondità. Conclude poi don Giuseppe Pavone, facendo riferimento agli auguri ricevuti in vista dell'anniversario del suo sacerdozio: "sto avendo delle testimonianze - in vista degli auguri - tramite dei bigliettini, e certi auguri mi hanno segnato in maniera molto positiva".
Quale consiglio darebbe ai nuovi sacerdoti che intraprendono il loro percorso di fede e di santità?
"Questi sacerdoti già son ricchi, perché vengono fuori da un'esperienza di seminario, quindi hanno dei percorsi di vita spirituale intensa, volti anche a suggerimenti, consigli dei padri spirituali. Noi siamo invece sacerdoti di frontiera: gente che sta lì con la baionetta, che è in trincea". Una situazione differente coinvolge invece i nuovi sacerdoti, afferma Mons. Giuseppe Pavone: "un giovane sacerdote si deve attrezzare ad una vita spirituale profonda e con studio serio, bisogna cioè che si prepari continuamente, perché il mondo è velocissimo, non consente di utilizzare sistemi retrò. Quindi ogni nostro linguaggio se è al passo con i tempi trova sconto, non lo trova invece se è petulante – continua così don Peppino - noi purtroppo stiamo registrando un po' questa storia, quindi per i giovani sacerdoti c'è un lavoro immenso. Noi siamo stati un po' più fortunati, perché l'ambiente socio-culturale di un tempo , di cinquant'anni fa, ci consentiva di essere più tranquilli".
Un mondo - quello giovanile – di cui don Peppino ha sempre fatto parte e che nel tempo ha prodotto i suoi frutti. "Io ho privilegiato sempre la fascia giovanile. Noi in parrocchia abbiamo avuto centinaia e centinaia di giovani che adesso sono tutti professionisti. Alcuni li ho visti arrivare stamattina e dopo aver chiesto loro perché fossero scesi da posti così lontani come Milano, la loro riposta è stata: 'E com'è potevo mancare'?"
E se dovesse identificarsi con un motto, quale motto sceglierebbe?
"Il motto che hanno scritto sulla torta e che io ripeto spesso: 'Io sarò con te, sempre' "